Arabella di Emilio De Marchi (1888): La Colomba raccomandò a Nunziadina di star quieta in letto, cacciò le gambe, si vestì in fretta e guidata dalla luce bianca del cielo, si preparava ad uscir di casa per parlare al padre Barca, uomo influente e giudizioso. Volle prima dare un'occhiata al vecchio e al ragazzo: dormivano tutti e due, l'uno colla schiena appoggiata al muro, l'altro raggomitolato sul letto. Fece il segno della croce e uscì dalla porta a vetri che mette sulla ringhiera. Ma si tirò indietro spaventata. Nel cortile c'erano due guardie di questura.
Il chiodo di Adolfo Albertazzi (1918): La signorina raccomandò, pregò: — Non gli dica che è morto. Tanto.... - Poi lo introdusse. La Cleofe dietro alla poltrona sorreggeva il debole capo. — Guarda, zio, — disse l'Amelia. Un breve silenzio. Finché lo zio sorrise, quasi ridesto dall'erroneo riconoscimento. — Ah! Sei tu?... Il chiodo? — Eccolo — disse l'ufficiale, mentre la signorina susurrava: — Lasciamolo nella sua illusione! -
Il vecchio chiamò: — Amelia! — Son qui, zio. — Celso! - L'ufficiale ne comprese, dalle mosse più che dalle parole, l'ultimo volere.
Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio (1968): Erano forti, allenatissimi marciatori (ognuno avendo nelle giovani gambe il cammino di un'intera vita) e chiacchierando e canticchiando, ma attenti ed all'erta, al crepuscolo passarono Coazzolo e a sera Mango. Entrambi i paesi non rilasciavano un atomo di luce, come in un assurdo tentativo di obliterarsi nella tenebra. E non c'era suono, salvo qua e là un crepitio di rami gelati. Un ragazzo disse di conoscere una scorciatoia e molto scrupolosamente la scrisse e raccomandò. Ma era idiotico, sottolinearono gli altri, prendere una scorciatoia verso scontro, imparità, agonia e morte. |