Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini (1941): Guardai intorno a me la cucina, vidi il fornello e la pentola di coccio su di esso, più in là la madia per il pane, e poi il recipiente dell'acqua, il lavandino, le seggiole, il tavolo, al muro il vecchio orologio cosiddetto di mio nonno, e guardando temevo. Guardai, temendo, anche mia madre. Avvolta nella coperta era, tra le sue cose, come ognuna delle sue cose; piena di tempo; di uman genere passato, infanzia e via di seguito, uomini e figli, altro che storia. Là dentro avrebbe continuato la sua vita, e ancora si sarebbe arrostite aringhe sul braciere, sarebbe stata con le scarpe di mio padre ai piedi. Io guardavo e temevo.
Canne al vento di Grazia Deledda (1913): La botteguccia era piccola ma piena zeppa come un uovo: sulle scansie rosseggiavano le pezze dello scarlatto e accanto brillava il verde delle bottiglie di menta; i sacchi di farina sporgevan le loro pancie bianche contro le gobbe nere delle botti d'aringhe, e nella piccola vetrina le donne nude delle cartoline illustrate sorridevano ai vasi di confetti stantii ed ai rotoli di nastri scoloriti.
I pescatori di trepang di Emilio Salgari (1896): Non osarono però accendere il fuoco, per non attirare l'attenzione dei selvaggi che potevano accampare in mezzo a quei fitti boschi e s'accontentarono d'alcuni biscotti e d'una scatola di aringhe affumicate, alle quali aggiunsero alcuni durion, frutta squisitissime, grosse come la testa d'un uomo, armate esteriormente di spine assai acute, ma contenenti nell'interno dei semi avviluppati in una polpa bianca, delicata come una crema, ma che tramanda uno sgradevole odore di cacio marcio. Per chi non è abituato a quell'odore, riesce difficile il mangiare quelle frutta, ma quale squisitezza quando s'inghiottono!... Sono senza dubbio le migliori di tutte, superiori perfino agli ananas ed ai mangostani. |