Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga (1890): Don Ninì gli stese la mano: — Che diavolo!... che sciocchezze!... — Quindi si sbottonò completamente, guardando ogni tanto sua moglie: — Venite in teatro questa sera, per la cantata dell'inno. Fatevi vedere insieme a noialtri. Ci sarà anche il canonico. Dice che non fa peccato, perché è l'inno del papa... Discorreremo poi... Bisogna metter mano alla tasca, amico mio. Bisogna spendere e regalare. Vedete io?
Il libro delle vergini di Gabriele D'Annunzio (1884): — Avete urtato il braccio. Sentite male? - chiese Gustavo con la voce rauca e dolce. Egli costrinse il cavallo ad avvicinarsi, prese il braccio di Francesca leggermente, sbottonò la manica al polso. Francesca lasciava fare, guardava. La manica dell'amazone era così stretta! Si scoperse, tra il guanto e il panno nero, il polso rotondo, niveo, quel polso rigato di vene come la tempia di un fanciullo. Gustavo stringendo il polso tra le dita, con l'altra mano cercava di tirare in sù la manica. Il cavallo scuoteva le briglie lasciate su'l collo libere.
Demetrio Pianelli di Emilio De Marchi (1890): Prese un giornale che trovò sul tavolino, ne scorse in fretta le pagine illustrate senza capire nulla di quelle grandi figure, senza quasi veder nulla; lo buttò via, girò uno sguardo scemo, aggrondato per la sala, appoggiandosi colle due mani sul divano, si sbottonò il soprabito, l'abito, il panciotto anche, e stette un minuto in un atteggiamento tra l'estatico, il tragico e l'ubbriaco, provando nella reazione alcoolica del doppio beverone ingoiato un'acuta e dolce vertigine, un senso di chi cade dall'alto nel vuoto, come prova chi si lascia dondolare cogli occhi chiusi sopra un'altalena. |