I promessi sposi di Alessandro Manzoni (1840): È a Pescate; costeggia quell'ultimo tratto dell'Adda, dando però un'occhiata malinconica a Pescarenico; passa il ponte; per istrade e campi, arriva in un momento alla casa dell'ospite amico. Questo, che s'era levato allora, e stava sull'uscio, a guardare il tempo, alzò gli occhi a quella figura così inzuppata, così infangata, diciam pure così lercia, e insieme così viva e disinvolta: a' suoi giorni non aveva visto un uomo peggio conciato e più contento.
Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio (1968): Per un freddo improvviso rientrò. Sentiva intorno a sé, ed in sé, una precarietà, una miseria per cui tutto lui era sottilizzato, depauperato, spaventosamente ridotto rispetto ad una normale dimensione umana. E uno stimolo sessuale, repentino e clamoroso, giunse a complicare tutto, portare tutto all'acme della crisi. Bisognava scendere in città anche per quello, a costo di trovare tedeschi e fascisti nei polverosi salottini démodés. La cosa gli appariva lercia ma irrifiutabile, in una livida squallorosità di intervento medico. Ciò enfiò la sua miseria umana, lo fece apparire a se stesso come un ributtante otre gonfio di serioso nulla.
Il resto di niente di Enzo Striano (1986): Spiccicando le scarpe da fanghiglia pastosa e puzzolente, entrarono in un immenso portone fumoso, oltre il quale vide, stupefatta, case, vicoli, piazze, come un'altra città. Una città cadente, fatta di misteriose interiora, slarghi lutulenti, pozzanghere donde emergeva sudiciume: verdura, stracci sporchi di sangue e d'escrementi, paglia lercia, cocci, carogne. Galline, cani, maiali, asini s'aggiravano dappertutto. Il tanfo era terribile: esalava dal terreno, dai buchi delle case sgretolate. Vapori d'umido gonfiavano nel fondo. |