La coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923): Avevamo molte sigarette e volevamo vedere chi ne sapesse bruciare di più nel breve tempo. Io vinsi, ed eroicamente celai il malessere che mi derivò dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all'aria. Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito. Mi rimisi e mi vantai della vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora: — A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quanto m'occorre.
Il chiodo di Adolfo Albertazzi (1918): Questa speranza derivò logicamente dalla considerazione che la vecchia Cleofe non salvava dalle mani di Celso neppur uno dei suoi garofani fioriti. — Mi piacciono tanto i fiori! — esclamava lui con la voce soave delle ragazze che glieli chiedevano. Ecco forse la via buona, che conduceva — oltre che alla floricoltura — alla botanica, e allo studio degli elementi costituitivi e produttivi del terreno: cioè alla chimica agraria, e quindi alla chimica in generale.
Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio (1968): Il disastro accadde in un unico imprevedibile tratto pianeggiante tra due ertissime rampe. La motrice slittò, il cavo resisté con una disperazione più umana che metallica, il rimorchio coi suoi tre avventanti imbarcati sbandò a filo della ripa, si corresse, parve salvarsi, poi il cavo sfilò con un gemito orribile, il rimorchio derivò e ribaltò: nell'attimo dell'ultimo equilibrio due uomini si tuffarono dalla parte giusta, il terzo, l'oppositore di Johnny, tardò, saltò nella ripa, e la sponda del rimorchio gli atterrò sulla schiena. Gli uomini bussarono retoricamente all'ingraticciata finestrella della cabina, il pompiere frenò, procedé con una paurosa serpentina per qualche metro ancora. |