La coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923): Mi proponevo di diventare più serio. Ciò significava allora di non raccontare quelle barzellette che facevano ridere e mi diffamavano, facendomi anche amare dalla brutta Augusta e disprezzare dalla mia Ada. Poi v'era il proponimento di essere ogni mattina alle otto nel mio ufficio che non vedevo da tanto tempo, non per discutere sui miei diritti con l'Olivi, ma per lavorare con lui e poter assumere a suo tempo la direzione dei miei affari. Ciò doveva essere attuato in un'epoca più tranquilla di quella, come dovevo anche cessar di fumare più tardi, cioè quando avessi riavuta la mia libertà, perché non bisognava peggiorare quell'orribile intervallo.
Il marito di Elena di Giovanni Verga (1882): Una delle sorelle, nell'espansione disperata delle lagrime, aveva detto che la mamma non s'era più riavuta dallo spavento quando il canonico aveva scoperto la vendita segreta del sommacco e l'affare del vaglia mandato a Cesare di nascosto. Sembrava che zio e nipote avessero sempre dinanzi agli occhi quelle parole, e non potessero guardarsi senza ricordarsene.
Bestie di Federigo Tozzi (1917): Me ne tornavo, una volta, così pieno d'ira e d'odio che ne subivo, quasi immediatamente, una stupefazione densa, molle, paniosa, che soddisfaceva la mia anima. Alla mia anima appiccavo i miei fratelli e mio padre; e mi sentivo il sangue più arido della terra screpolata dall'estate; fermandomi a rompere con i tacchi qualche zolla entro la quale s'eran perfino seccati i fili di gramigna le cui punte bianche apparivano fuori. Se qualcuno m'avesse raggiunto e m'avesse detto: «sono tutti morti», finalmente la mia anima si sarebbe riavuta. Ma no, no; mai! |