I pescatori di trepang di Emilio Salgari (1896): I primi albori permettevano di distinguerli senza fatica. Erano tre o quattrocento, di statura media, colle membra gracili, i ventri sporgenti, i lunghi e grossi capelli ondeggianti, i petti coperti di tatuaggi e adorni di collane di denti di animali selvaggi. Indosso non portavano che dei miseri mantelli di canguro che coprivano a mala pena le loro spalle, ma tutti avevano la pittura di guerra che dava a loro un lugubre aspetto.
Azzurro tenebra di Giovanni Arpino (1977): «Dio canguro, andiamoci a mangiare un ginocchio di porco in birreria, Arp» abbassò la voce il Grangiuán: «Bello, con la crosta dorata. Colesterolo puro. Non lasciamoci intruppare: ein zwei drei strunz. Nutriamoci. Almeno avremo qualcosa da vomitare, stasera.»
Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio (1968): Ora il ritano stava livellandosi ai prati soprastanti, radure fra castagni, ed era ora di lasciarlo per immettersi nei prati foranei del paese. Sussultò, così come un altro uomo sussultò alla sua vista sulla radura. Era Regis, spoglio di ogni sua arma, aggrappandosi con un braccio l'altro braccio, disabled, sanguinante da una manica strappata. La salvezza di Regis eccitò Johnny infinitamente più della sua, lo galvanizzò, lo fece correre per la radura come un canguro. - Portami all'ospedale di Murazzano, vuoi? - Piangeva. - Sicuro che ti ci porto. - Non è grave, vero? A te non pare grave. - A me non pare. No, non è grave. Però andiamoci in fretta all'ospedale. |