Il nome della rosa di Umberto Eco (1980): “Da altri empi, credo, che traevano soddisfazione da quel fomite di disordine. Sul finire dell'anno 1305 l'eresiarca fu costretto però ad abbandonare la Parete Calva, lasciando i feriti e i malati, e si portò nel territorio di Trivero, dove si arroccò su un monte, che allora veniva chiamato Zubello e che da allora in poi fu detto Rubello o Rebello, perché era divenuto la rocca dei ribelli alla chiesa. Insomma, non ti posso raccontare tutto quello che avvenne, e furono stragi terribili. Ma alla fine i ribelli furono costretti alla resa, Dolcino e i suoi furono catturati e finirono giustamente sul rogo.”
L'alfier nero di Arrigo Boito (1867): Anderssen si arroccò alla calabrista, come dice il gergo della scienza, cioè pose il re nella casa del cavallo e la torre nella casa dell'alfiere. Poi piantò gli occhi nel volto del nemico. Il negro, fatta che vide la mossa tanto sperata e tanto attesa, tornò a fissare più intensamente che mai l'alfiere segnato, e acceso dalla emozione e dalla sua natura tropicale, non si curava né anche di temperare gli slanci della sua fisionomia.
Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio (1968): Un allarme dal basso scaraventò tutti al bastione settentrionale. Per i tormenti della strada saliva, sparsa e dinoccolata, una teoria di partigiani, e vi spiccava in testa la nota divisa violacea, con visibili a distanza le polluzioni del terriccio, della guazza e degli strappi, incastonata nel muro secco, colonial-like della sua guardia de corpo slava. Johnny, con altri, s'arroccò sull'arco medievale, fra prime lucertole, a vederli passar sotto. Essi avevano sostenuto la battaglia di ieri, poi s'erano sganciati, avevano passato mezza la notte appena fuori dell'area perduta e poi s'erano diretti a Mombarcaro per congiunzione, poiché pareva che i fascisti non volesse cessare l'azione, anzi ampliarla. |